L’art. 2475-ter c.c. costituisce l’unica disposizione specifica in materia di conflitto di interessi degli amministratori di S.r.l.
Esso si compone di due imporatnti commi:
Al primo comma, recita che la s.r.l può chiedere l’annullamento di contratti che sono consclusi dai suoi amministratori in stato di conflitto di interessi con la società stessa.
Al secondo comma, la norma dispone l’impugnabilità, entro novanta giorni, da parte degli amministratori e, ove esistenti, del collegio sindacale o del revisore, delle decisioni assunte dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora esse cagionino un danno patrimoniale, con salvezza dei diritti acquistati in buona fede da terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione.
2. Nozione di conflitto di interessi
Non è definita dalla legge, ma dalla dottrina e dalla giurisprudenza si ricava la seguente definizione: nelle S.r.l. sussiste un conflitto di interessi tra amministratore e società quando, in relazione ad una determinata decisione, ad un vantaggio anche potenziale dell’amministratore fa fronte uno svantaggio, o anche un minor svantaggio, della società, o viceversa (potendo anche accadere che l’amministratore, per evitare un danno, pregiudichi le ragioni della società).
3. Il potere di rappresentanza degli amministratori di S.r.l.
L’ambito di applicazione dell’art. 2475-ter c.c. è limitato agli amministratori che hanno la rappresentanza della società. In ragione delle variegate forme che può assumere l’organo gestorio nella s.r.l., la norma è quindi applicabile a:
- l’amministratori unico;
- l’amministratori delegato con poteri rappresentativi e anche gestori (rientranti nella delega loro conferita);
- l’amministratore munito di poteri di rappresentanza, ma privo dei corrispondenti poteri di gestione;
- gli amministratori rappresentanti in regime di amministrazione disgiuntiva.
Il potere di rappresentanza per gli amministratori di S.r.l. è disciplinato all’art. 2475-bis c.c., il quale stabilisce che:
- gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società;
- la società è vincolata dagli atti compiuti dagli amministratori in violazione delle limitazioni poste al loro potere di rappresentanza dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, anche se pubblicate, salvo che non si provi che il terzo abbia agito a danno della società (c.d. exceptio doli).
L’atto costitutivo o l’atto di nomina possono senz’altro attribuire ad alcuni soltanto degli amministratori il potere rappresentativo, come avviene frequentemente per le figure del presidente e dell’amministratore delegato. È così possibile che una clausola statutaria o l’atto di nomina limiti i poteri rappresentativi degli amministratori all’ordinaria amministrazione o ad alcuni specifici atti (magari con valore inferiore ad un determinato corrispettivo), riservare il potere decisionale su alcuni atti al consiglio di amministrazione o all’assemblea dei soci.
4. I contratti conclusi dagli amministratori in conflitto di interessi
L’art. 2475-ter, comma 1, c.c., esprime ils eguente concetto:
perchè possa essere annullato un contratto concluso con i terzi, il comma 1 dell’art. 2475-ter c.c., richiede che la società fornisca la prova:
- della situazione di conflitto di interessi del rappresentante al momento della conclusione del contratto;
- della conoscenza o riconoscibilità, da parte del terzo, del conflitto.
5. La legittimazione all’annullamento del contratto concluso dall’amministratore in conflitto di interessi
L’art. 2475-ter, comma 1, c.c. attribuisce la legittimazione a chiedere l’annullamento del contratto concluso dall’amministratore in conflitto esclusivamente alla società, quale titolare dell’interesso oggetto della tutela apprestata, e, quindi, al soggetto rappresentato. La giurisprudenza ha infatti evidenziato che solo rispetto alla società è ricostruibile un conflitto di interessi.
Si deve quindi escludere la legittimazione ad agire in capo al singolo socio, al quale deve, però, riconoscersi legittimazione a proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, ai sensi dell’art. 2476 c.c.
La legittimazione all’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione
Legittimati ad impugnare le decisioni di cui al secondo comma dell’art. 2475-ter c.c. sono i singoli componenti del consiglio di amministrazione.
La scelta se impugnare o meno è rimessa alla discrezionalità degli amministratori e degli organi di controllo. In realtà si ritiene che i poteri di questi soggetti vadano esercitati per la realizzazione dell’interesse sociale (amministratori) o per garantire la legalità dell’azione sociale (organi di controllo) e quindi si tratta di poteri-doveri. La discrezionalità nell’esercizio dell’impugnazione della decisione viziata da conflitto di interessi è meramente tecnica, anche se i margini di sindacabilità sull’uso della stessa sono ristretti, in applicazione della c.d. business judgment rule.
Sono legittimati all’impugnazione, inoltre, sindaci e/o revisori, qualora siano presenti. L’art. 2475-ter, co. 2, c.c. non prevede invece espressamente la legittimazione ad impugnare da parte dei soci. In materia la giurisprudenza appare divisa. Alcune sentenze non consentono l’impugnazione da parte dei soci di S.r.l., altre invece, sono orientate in senso positivo, in analogia con l’art. 2388, co. 4, c.c.
10. La salvezza dei diritti acquisiti in buona fede dai terzi
In caso di accoglimento dell’impugnazione, sono fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione.
I diritti dei terzi sono fatti salvi purché questi siano in buona fede, cioè abbiano ignorato l’esistenza del conflitto di interessi, sempre che l’ignoranza non sia dovuta a colpa grave. Si ritiene che l’onere probatorio dello stato soggettivo di buona fede del terzo ricada su quest’ultimo.