Ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale, è necessario che ricorrano i seguenti presupposti:
un interesse dell’amministratore in conflitto con quello della società;
la “deliberazione” di un “atto di disposizione” di beni sociali;
un evento di danno patrimoniale intenzionalmente cagionato alla società amministrata;
il fine specifico, in capo all’agente, di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio.
Tali elementi, già evidenziati dalla giurisprudenza penale, vengono ripresi dalla sentenza n. 43146, depositata ieri dalla Cassazione in un caso in cui il reato societario in questione era stato contestato all’amministratore di una srl.
I giudici di legittimità si soffermano principalmente sul tema del conflitto di interessi. Si trattava qui della modifica di un contratto di management stipulato con un noto gruppo di cantanti, con il quale l’amministratore in questione aveva di fatto allontanato i cantanti dalla società di cui era amministratore unico (e dal socio della stessa), poi firmando un nuovo contratto con altra società a lui riconducibile.
In tal modo, quale agente di costoro, egli avrebbe continuato a percepire compensi per le esibizioni del gruppo, anche a scapito della società amministrata.
Secondo questa ricostruzione, tale contratto viene qualificato come “un atto concretante un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l’amministratore agente e la società”, tale da poter rappresentare un presupposto del reato ai sensi del citato art. 2634 c.c.
La pronuncia in commento precisa, peraltro, che anche i soci sono persone offese del delitto in esame, tanto che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso (essendo l’incriminazione volta alla tutela dell’integrità patrimoniale della società), ma anche, e disgiuntamente, al singolo socio. La condotta dell’amministratore infedele è, infatti, diretta a compromettere non solo le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio.
Interessante è anche il riconoscimento del danno non patrimoniale che viene liquidato dal giudice, derivante dalla compromissione di quello che per la parte civile era un importante progetto professionale ed economico.