La separazione con addebito si verifica quando nel giudizio di separazione tra i coniugi, il giudice accerta appunto la fine del matrimonio è addebitabile a uno dei due coniugi.
Il significato della separazione con addebito è che, appunto, la responsabilità della separazione è individuata nel comportamento di uno dei due coniugi: ciò avviene, in particolare, quando vi è una violazione dei doveri coniugali e la fine del matrimonio deriva da tale violazione.
IL NESSO CAUSALE PER OTTENERE L’ADDEBITO
Per ottenere un risarcimento, il coniuge che richiede il risarcimento deve dimostrare che il comportamento dell’altro coniuge ha violato i doveri coniugali previsti dal Codice Civile, quali l’assistenza morale e materiale, la fedeltà, la convivenza, la collaborazione nell’interesse della famiglia e l’educazione dei figli.
Inoltre, è necessario stabilire un nesso causale tra la violazione dei doveri coniugali e i danni subiti, dimostrando che i danni sono direttamente conseguenti al comportamento illecito del coniuge.
Per avere diritto al risarcimento del danno, secondo l’attuale orientamento della Cassazione, occorre che vi siano, come conseguenza della violazione dei doveri coniugali, delle condizioni di sofferenza causate nel coniuge che eccedano il limite della sopportabilità e si manifestino, tenuto conto delle concrete modalità o a in relazione alla gravità del turbamento che generano, come la violazione di un diritto tutelato costituzionalmente, come ad esempio, il diritto alla salute, all’onore o alla dignità personale.
Sul punto già Cass. n. 18853 del 2011 aveva indicato che: “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva”.
MA QUANDO VI E’ QUESTA LESIONE DEI DIRITTI COSTITUZIONALI?
Non è automatica come conseguenza della violazione dei doveri coniugali: serve dell’altro e occorre valutare in concreto le modalità presenti nel caso specifico, al fine di verificare se portino a ritenere che sia stati superati quei limiti di tollerabilità, con conseguente lesione del diritto alla salute o all’onere
LA CASSAZIONE: UNICO EPISODIO DI VIOLENZA
Per la Cassazione, le violenze (fisiche e morali) perpetrate da uno dei coniugi rappresentano violazioni così gravi da dare luogo anche alla dichiarazione di addebito
La Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 31351/2022) sancisce che le violenze fisiche e morali perpetrate da uno dei coniugi rappresentano violazioni così gravi degli obblighi matrimoniali da essere il fondamento, non soltanto per la pronuncia di separazione, in quanto determinante la intollerabilità della convivenza, ma anche ai fini della dichiarazione di addebito, esonerando il giudice dall’obbligo di effettuare una comparazione, con l’eventuale comportamento del coniuge vittima delle violenze, trattandosi di comportamento che, a cagione dell’estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti dello stesso tipo.
Nella vicenda, all’attenzione della S.C., la Corte d’Appello di Catania aveva confermato la sentenza di separazione giudiziale del Tribunale di Siracusa, con la quale erano state rigettate le domande reciproche di addebito spiegate dai coniugi.
La Corte aveva sposato la tesi del tribunale in relazione all’esclusione dei presupposti per l’addebito della separazione al marito, in relazione alle condotte violente sostenute dalla moglie, nonostante le testimonianze dei figli, ritenendo non raggiunta la prova certa delle condotte di violenza reiterata nei confronti della moglie.
La Corte aveva, infatti, sottolineato la mancata indicazione di fatti precisi, di elementi oggettivi o testimonianze di persone estranee al nucleo familiare, a conferma delle condotte denunciate.
La moglie ricorreva in Cassazione, lamentando che il giudice d’appello avesse sbagliato nel considerare non dimostrate le condotte violente del marito poste a fondamento della domanda di addebito, risultanti invece da una serie concreta di elementi emersi in istruttoria dai quali risultava la consumazione delle violenze denunciate (denunzie, provvedimenti di allentamento del questore, referti medici, prove per testi).La Corte di Cassazione ha accolto le doglianze della moglie.
Nello specifico, in relazione ai comportamenti tenuti dal marito ha riaffermato il principio per cui “Le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi e inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantesi in un unico episodio di percosse – non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posterità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017)”.
La Corte quindi stabilisce, sull’addebito, che la condotta violenta di un coniuge nei confronti dell’altro, per la sua gravità, abbia carattere assorbente e non sia comparabile con il comportamento della vittima della violenza, anche qualora si tratti di un unico episodio di violenza.
La Corte ribadisce così l’orientamento già espresso nell’ ordinanza Cass. n. 27324 del 2022 ritenendo il “singolo” episodio idoneo a sconvolgere “definitivamente” l’equilibrio della coppia poiché lesivo della dignità della persona.
La Corte di Cassazione, evidenzia, l’irrilevanza della “posterità temporale” della condotta violenta rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass.n. 7388/2017), ritenendo quindi, anche sotto il profilo temporale, che tale condotta non possa mai essere giustificata come reazione successiva al comportamento del soggetto passivo.